Quando si pensa al Friuli Venezia Giulia si pensa alle cime innevate, a Trieste coi suoi scrittori, ai fiumiciattoli che scendono dalle montagne e ad una regione tranquilla dove si vive bene. Non bisogna però dimenticare che quella regione è il cuore del nord-est italiano altamente industrializzato che si trova a vivere a contatto con la crisi dell'industria, col decentramento della produzione e con lo sfruttamento della manodopera a basso costo proveniente dall'est ai danni della classe di lavoratori più debole che, abbandonata da tutti, reagisce in maniera violenta. Ed ecco che nascono bestie di stana, omicidi efferati, spedizioni punitive di nazziskin, e altre violenze degne della provincia americana più degradata.
In questo contesto sociale si muovono i tre personaggi principali, Rino, un precario di lavoro e di vita che da la colpa dei propri problemi agli immigrati che gli rubano il posto e che vorrebbe fare loro ciò che Hitler ha fatto con gli ebrei , Cristiano suo figlio che fa proprie tutte le idee del padre mitizzandole, e Quattroformaggi un povero disgraziato reso pazzo da un incidente sul lavoro.
I tre con vari ruoli saranno protagonisti di una storia di cronaca nera (che in America avrebbero quasi chiamato Horror) in cui nessuno farà quello che ci si aspetta. Ma non è la storia in se che fa paura nel film.
I paesaggi cupi, i luoghi sterili, la gente che non si scambia nemmeno un saluto, la totale assenza di uno stato che non riesce ad aiutare nessuno, sono queste le cose che mettono paura in questo film. Pensare che non stiamo parlando di storie lontane ma di qualcosa che potrebbe avvenire benissimo se non in maniera ancora più violenta qui nella bella Italia. Certo qualcuno ora sicuramente dirà che la trama era inverosimile, che è impossibile che un ragazzo di 14 anni riesca a fare tutto da solo, che il disagio sociale del padre era troppo accentuato, e che come risultato il film era noioso. Ma di queste cose non me ne sono nemmeno accorto mentre ero al cinema. Il film è ruiscito a tenermi sempre più incollato alla sedia man mano che passavano i minuti ed è riuscito a scatenare i pensieri come raramente succede al cinema.
Salvatores passa dunque da una realtà degradata, quella della puglia-basilicata anni 60 di "Io Non Ho Paura" ad un'altra quella più moderna di una provincia industrializzata, descrivendo questi mondi così diversi con paesaggi diversi ma che danno la stessa sensazione di desolazione. Distese assolate di campi di grano e immense montagne ai cui piedi c'è una infinita pianura industrializzata non hanno niente in comune ma danno la stessa sensazione di isolamento e non comunucazione.
voto personale............. 7.5
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sabato 27 dicembre 2008
Come Dio Comanda
Pubblicato da Antonio alle 07:39
Etichette: Recensione film
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